Arrivarono altri due o tre Pii-eeh, mentre Brian seguiva il volo del rapace. La quota non era
particolarmente elevata – anzi, era proprio bassa – e la velocità poco
sostenuta. Come se davvero l’uccello avesse voluto farsi seguire.
È mai possibile?, si chiese, incredulo, Brian.
Il ragazzo percorse una trentina di metri lungo
Champion Drive. Con il terrore – sì, dovette ammetterlo, senza però
vergognarsene: il terrore – che la
poiana avesse potuto attraversare il cielo sul cimitero di Brooksville, il giovane
si ritrovò a pregare che non lo facesse. A pregare, sì, ma chi? O cosa?
Non lo sapeva, non gli importava. Voleva soltanto
raggiungere zia Abbie. Voleva soltanto ritrovare Carter Alston. Voleva soltanto
stare con qualcuno che davvero era in grado di capirlo. E, più di ogni altra
cosa, capace di starlo ad ascoltare.
L’uccello rapace non tagliò per il cimitero, se non
alla svolta di Champion Dr; da lì in poi proseguì dritto, lungo Jasmine Drive,
fino alla fine della stessa via. Lì, Brian proseguì per Woodlawn Ave.
Quel posto gli era sempre piaciuto.
Il lago artificiale, dalla forma triangolare, tutte
le case intorno, pitturate di un bianco brillante, il verde luminoso della
vegetazione rigogliosa… di notte, però, ogni arbusto, foglia, ramo, filo d’erba,
abitazione… tutto appariva più cupo. La luce dei lampioni non aiutava di certo.
Addirittura, pareva donare una sorta di alone spettrale al tutto.
Pii-eeh! Pii-eeh!
Pii-eeh!
La poiana richiamò la sua attenzione, mettendogli
addosso una certa quantità di brividi.
Brian si guardò intorno con la testa rivolta verso
l’alto. Riuscì ad individuare il rapace, saldamente ancorato al bordo del tetto
di una casa dal tetto a punta. Solo adesso Brian si accorse di avere il fiato
corto. Continuò ad osservare la poiana e allargò le braccia. «E allora?»
L’uccello non lo degnò d’uno sguardo. I suoi occhi,
aguzzi e fieri, miravano all’orizzonte oscuro. Verso la strada che avevano già
percorso, verso l’aria che aveva già attraversato con le sue portentose ali.
Probabilmente alla ricerca di una preda.
«D’altronde…» Brian si prese due bei profondi
respiri. «D’altronde, che ti aspettavi?», chiese, rivolgendosi ad alta voce a
sé stesso. «Pensavi ti avesse potuto portare… ah…» Si stupì a ridere di sé
stesso. «Ti sei bevuto il…?»
Fu allora che la poiana abbassò il capo verso di
lui.
Pii-eeh! Pii-eeh!
Gonfiò il petto, aprì le ali, e tornò a volare.
«Oh… ma sul serio?» Brian compié i primi due passi
in avanti. Si fermò, con il cuore in gola.
Devo farlo davvero?
Voglio farlo?
Cosa mi fa credere
che…?
Davanti a lui si stagliava una sconfinata,
fittissima boscaglia di alberi alti e dalle chiome folte, dove il nero dominava
su ogni cosa.
Brian Wade provò una strana sensazione, mai provata
prima.
Ricordava – vagamente – di aver udito, per
l’ennesima volta, il sinistro richiamo della poiana. Dopodiché, il buio,
profondo come quello che si snodava all’interno del bosco.
Pii-eeh!
Stavolta, dopo aver sentito la poiana fare il suo
solito richiamo, Brian si ritrovò ai piedi di alcuni scalini che conducevano ad
una casetta, tutta costruita in legno. A prima vista si sarebbe detto un legno
duro, resistente, spesso. Come quello dei tronchi degli alberi che circondavano
la casa stessa e il giovane Wade.
E così mi ritrovo nel
fitto della boscaglia senza ricordare di avervici messo piede, riuscì a formulare mentalmente Brian. Tutto questo… sta succedendo davvero?
Tornò a fissare la costruzione in legno, dopo aver
fatto un giro visivo tutt’intorno a lui. Non che si vedesse molto, vi era una
strana luminosità che permetteva di vedere entro un corto raggio. Forse una
luce proveniente dall’interno della casa stessa, dotata di tetto spiovente e
due finestre frontali, ai lati della porta, cieche.
Brian era più deciso a scappare che salire la
scalinata ed entrare, ma il buio che pervadeva l’intera boscaglia lo metteva
non poco a disagio, portandolo a preferire la casetta. Di poco. La sua vista
era alquanto sinistra.
Il tutto peggiorò quando le due poiane appollaiate
sulla cuspide del tetto lo richiamarono all’unisono. Fu come sentire grattare
lunghe unghie contro il pannello di una lavagna, con il Dolby Surround.
E la porta, in cima alle scale, si aprì.
Automaticamente, un sorriso spontaneo affiorò sul
volto di Brian e ogni sorta di timore fu scacciato via. Il ragazzino si
affrettò a salire i gradini, di gran carriera. «Carter!»
Carter Alston lo accolse a braccia aperte,
letteralmente, e con una risata, calda come un piumone in una notte d’inverno. Stavolta
non indossava il copricapo di tela, e teneva i lunghi capelli disordinati e
sciolti. Gli giungevano fin quasi alla zona lombare. «Aspettavo questo momento
con grande trepidazione!»
«Ho passato diversi giorni seduto nel giardino di
casa», spiegò Brian. «Sempre con la speranza di poterti rivedere.»
«La Florida è immensa, ragazzo mio», controbatté
Carter, a mo’ di giustificazione. «Non potevo fermarmi nella nostra cara
Brooksville. Sono stato a Bayport, Masaryktown, Spring Hill, Lake Lindsay,
Inverness e Crystal River.»
«Ma adesso sei qua!», esclamò, entusiasta, Brian.
«Ma adesso sono qua», confermò Carter, un largo
sorriso tra la foltissima peluria facciale.
«Posso… posso… zia Abbie è in casa?» Da cosa
deduceva che la vecchia Abigail Jacobs abitasse lì, in quella casa? Perché
aveva seguito il volo di una poiana? Seriamente?
La luce semovente che illuminava gli interni, alle
spalle di Carter, emetteva strani barbaglii sui lineamenti rotondi del
predicatore. O qualunque altra cosa Carter Alston fosse, Brian non sapeva dirlo
con esattezza. E, in fin dei conti, per dirla tutta, neanche gl’importava. «Ma
certo», gli assicurò l’uomo, facendosi da parte ed indicandogli di entrare, con
il braccio destro steso verso l’interno dell’abitazione. «Fa’ come se fossi a
casa tua.»
Dalla porta, si accedeva ad un lungo corridoio
senza nessuno sbocco se non quello in fondo, che dava su una stanza larga ed
illuminata dal fuoco acceso nel camino. Scoppiettante, forte, caldo – a
contrastare il freddo che aveva assalito Brian dopo aver messo piede in quella
casa immersa nel bosco –, il fuoco rivelava quattro fila di sedie disposte a
semicerchio e divise da uno stretto corridoio centrale e, davanti ad esse, uno
scranno alto. Una sorta di trono ricoperto da un drappo nero, vecchio e
polveroso e dai bordi sbrindellati. Al fianco di quest’ultimo, una sedia a
dondolo, schienale rivolto alla platea vuota.
«Okay…», cominciò Brian. Si schiarì la gola. Si
voltò verso Carter. «È alquanto…» Spettrale;
“spettrale” è la definizione corretta! «… caratteristico.»
Carter avanzò e, superata la soglia, gli mise una
mano attorno alle spalle. «Dovresti vederla al completo», disse, indicando, con
la mano libera, le sedie davanti a loro. «I nostri canti riecheggiano per
l’intero bosco.»
La qual cosa mise i brividi a Brian. «Quanti…
quanti siete?»
«Più di quanto immagini, scommetto», rise Carter
Alston. «E fra poco saremo ancora di più.»
In quel momento, Brian si accorse che la sedia a
dondolo si muoveva. Sì, certo, stava dondolando. Dapprima in maniera lenta,
quasi impercettibile. Mano a mano, a velocità sempre più sostenuta.
Finché se ne poteva benissimo distinguere l’ombra
stagliarsi contro il muro, avvicinarsi e ritirarsi a tempo. Finché si poteva
udire il gracidio sommesso delle assi di legno che si incrinavano sotto il peso
e lo spostamento.
Brian cercò gli occhi di Carter. La situazione
stava prendendo una piega sempre più strana, per certi versi assurda, ma in
quegli occhi lui poteva trovare la sicurezza, la salda certezza.
Ma non aveva gli occhi
verdi?
A quanto pareva no. E nemmeno castani. Erano
azzurri.
Carter incontrò il suo sguardo. «Prego, figliolo»,
lo invitò, indicandogli lo spazio tra i due gruppi di sedie. «Sorella Abigail
ti attende.»
Brian annuì, per far cenno di aver capito, ma in
realtà… perché? Perché zia Abigail non lo aveva accolto da sé? Perché non gli
aveva nemmeno detto “Ciao, caro” o salutato in qualche altro modo? Perché si
era limitata a dondolarsi su quella sedia che sapeva tanto di scena da film
horror? E perché lui, nonostante tutto, non aveva paura? Anzi, era attirato
dall’intera faccenda?
«Sorella Abigail è vecchia e malata, ragazzo mio»,
gli spiegò Carter, come se gli avesse letto i pensieri. «Il suo fisico si è
indebolito molto, negli ultimi anni. Ma si tratta di una cosa: il corpo non è
altro che materia e, come ti ho già detto, Sorella Abigail ci ha insegnato ad
andare al di là della materia, a vedere dentro e oltre la stessa.»
Brian disse che sì, aveva capito e che Carter aveva
ragione.
E si avviò tra le fila di sedie.
Quando raggiunse la sedia a dondolo, il dondolio
era diminuito di poco e procedeva lento, cadenzato. Avanti e indietro, avanti e
indietro. Skreek! Skreek! Skreek! Skreek!
Un insieme di essenze profumate, buone e delicate,
cominciarono ad amoreggiare con le narici di Brian. Odore di fragole e vaniglia,
tutti aromi leggeri e dolci, lievemente aspri. Oppure… oppure…
Non c’è soltanto
profumo… è come se stesse coprendo…
Brian non riuscì a finalizzare il pensiero, avendo
girato sulla destra della sedia a dondolo – dall’altro lato c’era il trono – ed
essendosi ritrovato faccia a faccia con…
Una mummia.
«Lo so, lo so», cercò di tranquillizzarlo Carter,
con un tono vocale al miele, accorrendo in suo soccorso. Brian era chiaramente
turbato, l’espressione disturbata ne era netta e palese dimostrazione. Le mani,
calde, grandi e sicure di Carter si poggiarono sulle spalle del ragazzo. «È
sempre così, la prima volta. Hai ancora tanto da imparare. La Visione di
Abigail ti chiarificherà ogni cosa. La strada è lunga.»
Brian annaspò, alla ricerca di fiato e aria buona.
Quel concentrato di fragranze, adesso, cominciava a dargli la nausea. Aveva
sentito – o letto – da qualche parte, che tutti i cinque sensi umani erano
collegati fra di loro. Probabilmente, quindi, la nausea derivava non tanto dagli
odori, ma dall’olfatto influenzato dalla sconcertata e sconcertante vista. La
vista di un corpo rachitico, rinsecchito fino all’osso, dalla pelle secca come
terra che non vede acqua da secoli, ingrigita – in alcuni punti tendente al
nero –, avvolta in una sorta di sudario che copriva da petto a piedi. Le mani
parevano gli artigli di un qualche rapace (Segui
le poiane) e la faccia presentava una bocca priva di labbra, che lasciava
vedere le due arcate dentali – denti piccolissimi e scuri, che parevano
numericamente superiori a quelli di un qualunque essere umano –, il naso
accartocciato verso l’alto, mettendo in mostra le due narici, e dei fossi al
posto degli occhi, con un luccicante brillio in profondità. La testa era
glabra, eccezion fatta per qualche ciuffo sottile e bianco sparso qua e là, con
alcuni bozzi, alcune crosticine e una sorta di fossetta poco sopra la parte
sinistra della fronte.
«Oggi è il giorno più importante della tua vita,
Brian, lo capisci?» Il giovane, mezzo sconvolto, alzò la testa a guardare
Carter. No, stavolta non capiva. «Da oggi in poi tu sarai ascoltato. Tutti
quelli con cui parlerai, ti daranno ascolto. Anche tu camminerai lungo i fili
della ragnatela.»
Brian, ancora – ora più di prima – faticava a
capire. E a parlare.
Carter si allontanò da lui e gli diede le spalle.
Si sfilò la camicia a fiori e tonalità colorate e la poggiò sulla sedia alla
sua sinistra. Brian poté vedere la maglia nera, smanicata, che stava al di
sotto. Sul retro, tre parole:
“Seduttore.
Accusatore.
Distruttore.”
Le cose, poi, successero in fretta.
La schiena di Carter si arcuò innaturalmente,
all’indietro, in una figura che poteva somigliare ad un ponte. In realtà,
pareva più un grosso, peloso ragno. Una tarantola letale, dalla mole ciclopica.
Nel subconscio di Brian si presentò l’immagine di
Regan MacNail che – nel film L’esorcista
– percorreva le scale di casa muovendosi in una posizione molto simile a quella
assunta da Carter Alston.
Non ebbe tempo a sufficienza per osservare Carter,
perché una presa stretta e gelida gli serrò il polso destro. Con grande forza,
fu costretto a girarsi. Faccia a faccia con zia Abbie. Con Sorella Abigail.
La mummia tirò il viso di lui verso quello di lei.
Da dietro, giunse la voce, un po’ da invasato, di
Carter: «Eccolo, Brian Wade! Ecco il Bacio di Abigail!»
«Tutto ti appare confuso, non è così?» Sì. Oh, sì,
ci poteva scommettere la testa col Diavolo! Brian aprì gli occhi per
richiuderli subito dopo. Sembrava che tutto, là fuori, stesse sobbalzando,
girando ed esplodendo di colori oscuri. «La confusione è solo nel tuo corpo,
nei tuoi sensi, Brian. Il mondo è così com’è sempre stato, ma tu devi guardare
al di là della materiale apparenza, devi guardare dentro il mondo che ti circonda, con la piena partecipazione della
tua mente. Adesso puoi farlo, hai ricevuto il Bacio di Sorella Abigail. Devi
affinare questo grandioso potere.»
«Non voglio… non voglio… guardare…»
«Devi.» Silenzio. «Apri gli occhi.»
E Brian li aprì perché non poteva fare altro che
seguire la voce di Carter. Ogni cosa traballava, le forme non erano nette,
definite, distinguibili. Le forme erano… informi.
«Non essere cieco, non guardare con gli occhi
umani», gli disse Carter. «Guarda con i tuoi nuovi occhi. Con la Visione di
Abigail.»
Brian si portò le mani alla testa, come per
volersela tenere ferma, ben salda tra le spalle. Ma non era quella a girare,
erano gli occhi stessi; la vista influenzata dalla mente scossa, confusa.
Strinse i denti, arcata superiore contro arcata inferiore. La lingua strisciava
contro di loro, tra gli spazi e lungo lo smalto interno. Si stava concentrando,
ce la stava mettendo tutta, stava sudando, avvampava letteralmente.
«È ancora debole. E troppo giovane.»
La voce era qualcosa che mai, Brian, aveva udito in
vita sua. Pareva che uscisse da una gola seghettando le corde vocali, più che
facendole vibrare sotto sollecitazione.
«No, mi fido di lui, so quanto vale.» Era la voce
di Carter, adesso. «Coincide con gli intrichi della Ragnatela, Sorella Abigail.»
Era stata zia Abbie a parlare,
prima?
Poi Carter urlò – più che altro, latrò: «CONCENTRATI!»
E Brian si concentrò.
Si sforzò, con tutta la forza di volontà della
quale poteva disporre.
Spalancò gli occhi, quasi rischiando di far
scivolare giù le orbite oculari.
E, infine, vide.
No, no, no!
«Ti presento», disse Carter Alston, «due nostri
confratelli. Parte della nostra famiglia.»
No, no, no!
«Alla mia destra c’è Hunter Todd…» Un armadio
d’uomo, anche lui dalla foltissima barba (nero-grigiastra) e i capelli
increspati, lunghi fino alle spalle, voluminosi. Gli occhi erano strabuzzati,
quasi spiritati, fissi su Brian. «E alla mia sinistra, Willard Bray. Lui… lui
deve ancora ottenere le sue nuove sembianze.» Le forme erano tuttora un po’
sfocate, come se qualcosa di semi-invisibile aleggiasse attorno alle persone.
Bray era poco più basso di Todd, pelato e… indossava una maschera. La maschera
bianca di una pecora. Da sotto, sbucava fuori l’immancabile barba. Questa era
rosso-arancio. «Gli altri due… be’, credo tu li conosca.»
I suoi genitori, entrambi immobilizzati, tramite
stretti legacci, dentro a delle specie di armature. Brian conosceva il nome di
quegli strumenti. Tortura antica, medievale[1].
Le vergini di Norimberga.
Una sorta di sarcofago con degli spuntoni sulla
parte interna del coperchio. Spuntoni metallici che, una volta chiuso il
sarcofago, trafiggevano in più punti il corpo della vittima.
«No!», ansimò Brian, chiedendosi se davvero gliene
importasse qualcosa. «No! Carter, ti prego…!»
«Sento il dubbio, dentro di te, ragazzo me», gli
disse Carter, quasi in tono accusatore (“Seduttore.
Accusatore. Distruttore.”). «Cresce, sempre di più. Posso vedere il mostro,
dentro di te. Non è stato del tutto esorcizzato. Ma ben presto sarà estirpato.
Perché tu sei uno di noi, tu sei stato scelto.»
Scelto? Da chi? In base
a cosa…?
«Guarda alle mie spalle. Guarda… guarda molto,
molto attentamente. Come hai fatto prima. Come ti ho insegnato io.»
Brian guardò, ma vedeva solo la parete di legno
appena illuminata dal fuoco che andava scemando d’intensità.
«Non fermarti. Vai oltre. Vai dentro.»
Cosa voleva dire? Come doveva fare? Cosa e come,
come e cosa!
Non lo capì, durò meno d’un secondo, ma vide. Vide
davvero.
Vide Brooksville, la vide dall’alto, come da una
ripresa satellitare. Riconosceva casa sua, la scuola, il municipio, i parchi,
riconosceva ogni luogo. E riconosceva la cosa che vi era stesa sopra. Una
ragnatela. I fili intrecciati quasi luccicavano alla luminosità gettata dalle
fiammelle del camino.
«I nodi… i punti d’incontro tra i fili», gli
illustrò Carter, «intrappolano la preda. E non si tratta di una preda da
sacrificare, da mangiare. Non si tratta nemmeno di una trappola mortale. È una
trappola salvifica. Tu, Brian, sei
stato preso dalla Tela di Abigail. Tu sei il nostro nuovo membro, sei stato
scelto. Chi ne rimane fuori, chi è dentro alle maglie, agli spazi vuoti… deve
essere purificato attraverso la punizione. I peccati devono essere strappati
via con il sangue, i mostri devono essere uccisi perché sono troppo malvagi e
oscuri per poter essere semplicemente purificati. E il mondo… il mondo è un
posto veramente terrificante.»
«Ma loro non hanno fatto niente!», sbottò, d’un
tratto, Brian. «I miei genitori… loro sono… innocenti! Non hanno fatto niente
di male!»
«Non è vero e lo sai benissimo anche tu.» Accanto a
Carter, la sedia riprese a dondolare, come per esprimere il suo accordo con
quella frase. «Non è forse così? Hanno fatto soffrire loro figlio. Lo hanno
ignorato, lungamente. Hanno ignorato le sue idee, le sue opinioni, il suo
dolore. Hanno ignorato l’importanza dei valori familiari, degli affetti più
cari e naturali, come quelli tra figli e genitori.» Allargò le braccia,
indicando i coniugi Wade. «Guardali e dimmi cosa vedi. Fallo. Ora.»
Brian lo fece, ovviamente, e vide. Ancora una volta.
Erano creature bitorzolute e sbavanti, dai
molteplici bubboni pulsanti liquidi disgustosi e fetidi e dagli occhi privi di
qualsiasi tipo d’intelligenza e sicuramente incapaci di vedere; la lingua
rigonfia e intrisa di saliva ribollente; dita che si muovevano, smaniose e
senza sosta, scricchiolando e agguantando cose che in realtà non c’erano. E le
pance! I loro ventri erano trasparenti. Dentro di essi, Brian poteva vedere
benissimo il luccicare aureo. Soldi. Monete. Banconote. E sostanze vischiose che
li aggredivano, divorandoli poco a poco.
«Cosa vogliono fare quelle mani?», gli domandò
Carter. Adesso Brian, stonato e nauseato, seduto sulla sedia in prima fila,
rivedeva la stanza per com’era. «Cosa vogliono toccare? Cosa vuole gustare
quella lingua? Di cosa vuole saziarsi quello stomaco costantemente affamato?»
La risposta era semplice. Il motore del mondo. Il
desiderio più sfrenato della società cosiddetta “civile”. I soldi. L’eredità di
nonna Tina, nel caso dei suoi genitori. Soldi, soldi, soldi!
Vile pecunia.
Mammona.
«Tu hai avuto la fortuna di non soffrire la fame, a
differenza mia, Brian», cominciò Carter. «Ho vissuto anni e anni in povertà,
senza alcun aiuto da parte di nessuno. Avrei dato qualunque cosa, per mangiare.
Ma non avevo niente da dare. E nessuno ti aiuta gratuitamente, Brian. C’è
sempre un prezzo da pagare.» Si girò a guardare zia Abbie, seduta, ancora di
spalle nei confronti delle sedie vuote – tranne quella occupata da Brian.
«Anche Sorella Abigail ha voluto qualcosa da noi, in cambio del suo aiuto: ha
voluto i nostri mostri.» Sorrise e tornò a guardare Brian. «Sai cosa saresti
disposto a mangiare, quando non hai letteralmente niente da mangiare?» Carter Alston si sporse sullo scranno. «Qualunque
cosa.»
Un allarme risuonò nella testa di Brian. Stava
iniziando ad oliare gli ingranaggi di quel modo di vedere e pensare ed agire. I
soldi… l’eredità dei nonni… i mostri che albergavano dentro i suoi genitori
bramavano quel cibo, quel denaro, e la sola paura di non poterlo avere… li
aveva resi aggressivi, affamati dei loro rispettivi ospiti. I mostri stavano
riducendo i genitori di Brian a due esseri votati prettamente al proprio
tornaconto personale. Perennemente arrabbiati, perennemente affamati,
perennemente insensibili.
«Esatto, Brian. Ognuno di quei litigi, ogni parola
urlata, ogni oggetto scagliato, ogni occhiataccia cattiva… tutto questo. Vuoi
che accada ancora?»
Brian si sentì sussultare, sulla sedia. «No»,
disse, in un sussurro, gli occhi fissi sui due mostri, che ansimavano, che sbavavano,
grattando contro le pareti interne dei suoi genitori. In un attimo, aveva
capito tutto. Una rapida intuizione, fulminea, gentile concessione dei doni di
Abigail. I suoi genitori stavano, gradualmente, trasformandosi in quei mostri.
I coniugi Wade vedevano il lavoro come mera fonte di lucro. La morte di nonna
Tina come sorgente di gustosi introiti. Non lo mettevano dentro questi discorsi
perché loro sapevano. Sapevano benissimo che lui era diverso. Che lui, dentro,
era molto meno mostruoso di loro. D’altronde, lui coincideva con un nodo della
ragnatela, loro ne erano estranei, esclusi, al di fuori. Non ne parlavano
perché, altrimenti, si sarebbero sentiti in colpa. Non era mai stato lui a
scappare da loro, ma loro a fuggire da lui. I mostri avevano reciso i legami di
sangue e d’affetto, ma erano piuttosto bravi a coprirlo con menzogne e
comportamenti ipocriti. E Brian Wade, comunque, non seppe se quel pensiero,
quell’illuminazione improvvisa, fosse frutto dei suoi “poteri”, del suo nuovo
modo di vedere le cose, o se fosse stato indotto a pensare ciò dal sorridente –
sogghignante – Carter Alston, seduto
sul trono, davanti a lui. Non aveva importanza. Non per adesso. «No, mai più.»
Bastarono queste parole.
Hunter Todd e Willard Bray si mossero.
Le vergini di Norimberga vennero chiuse.
Da fuori, un inconfondibile suono.
Pii-eeh!
Pii-eeh!
Pii-eeh!
«Questo è un esempio lampante di come anch’io possa
sbagliare.» Carter Alston, mani unite a reggere il libro, testa china sulla
fossa, sospirò sonoramente. In realtà non si trattava di questo. «Da ciò,
prendete insegnamento. Lo farò anch’io.»
Alle sue spalle, a seguirlo come due ombre, Willard
Bray e Hunter Todd. Rimasero in silenzio. Parlavano davvero di rado. Solamente
quand’era opportuno farlo.
«Sorella Abigail ha provato a mettermi in guardia,
ma io ho osato ignorarla. Ero accecato, convinto di essere finalmente giunto
alla fine della ricerca.» Si mosse, compiendo quattro passi all’indietro.
Adesso era lui a trovarsi alle spalle degli altri due. Quello era solo parte
del motivo. La parte minore, in realtà, ma non lo avrebbe mai ammesso. La
verità più profonda radicata nel suo animo era questa: Carter aveva ceduto alla
totale empatia nei confronti del ragazzo. Si era rispecchiato in lui. Non
voleva far altro che aiutarlo, prenderlo con sé, farlo diventare uno di loro.
Voleva salvarlo seguendo questa strada e non l’altra, quella riservata a coloro i quali non coincidevano con i
nodi della Tela. «Io sono il Nuovo Volto della Paura.» Quella che sarebbe
servita a combattere, fuoco con fuoco, i mostri che proliferavano nel mondo.
«Tu, Hunter, sei il Nuovo Volto della Desolazione; ero convinto che Brian
potesse essere il Nuovo Volto della Distruzione. Il Tridente di Abigail sarebbe
stato finalmente forgiato, pronto per abbattersi su questa orribile società.
Pronto alla purificazione. Ma mi sbagliavo.»
Carter distolse lo sguardo dal suo fallimento: il
cadavere di Brian Wade, gettato in una fossa comune – all’interno della quale
erano stati gettati tutti coloro i quali erano impazziti, non riuscendo a
reggere psico-fisicamente i Doni di Abigail – scavata da Willard Bray nel fitto
dei boschi che circondavano il cimitero di Brooksville, dove quest’ultimo
svolgeva il lavoro di becchino, lontano da occhi indiscreti che potessero
vederlo in faccia, e Hunter Todd ricopriva il ruolo di guardiano.
«Il Bacio, la Parola, la Visione, la Tela…» Carter
si fece scuro in volto, mentre due poiane gli si venivano ad appollaiare sulle
spalle. Attraverso esse, lui aveva occhi ovunque. «Questa volta non mi sono
comportato in maniera degna, nei confronti dei Doni di Abigail.»
«L’intrico della Tela parlava chiaro, però»,
borbottò, burbero, Hunter Todd. Accanto a lui, il suo confratello mascherato;
la maschera bianca della pecora serviva ad espiare ed estirpare i peccati
commessi dal prescelto. Anche Hunter e Carter l’avevano indossata, anni
addietro. Una volta tolta, si erano sentiti degli uomini nuovi. Migliori.
Pienamente capaci di controllare i Doni. «Lo abbiamo visto tutti.»
«Abbiamo visto il dove, mio amico», precisò Carter. Rialzò il capo. Guardò le poiane.
Prima quella a destra, poi l’altra. Lo ricambiarono con occhiate rapaci e i
loro soliti versi. «Ma il chi…
abbiamo visto chi volevamo vedere. Non il reale obiettivo.»
«Allora di chi si trattava?», domandò il guardiano
del cimitero.
La risposta giunse attutita, dalla voce rauca e
gutturale di Willard Bray: «La bambina.»
Carter annuì. «Linda Wade, si chiama.» Il
predicatore – in molti lo definivano così, “predicatore”, non capendo cosa lui
fosse, in realtà: un salvatore – ripensò alle urla disumane di Brian. Povero
ragazzo. Non aveva mai pensato che la sua risposta, a quella fatidica domanda,
avrebbe portato alla salvezza, indotta attraverso la morte, dei suoi genitori.
Da lì, si era piegato del tutto. Era caduto, sfracellandosi in pezzi. Non era
lui, il prescelto. Non era lui il Nuovo Volto della Distruzione. La ricerca
sarebbe dovuta proseguire, protraendosi per chissà quanto tempo ancora.
«Sorella Abigail ha bisogno di un nuovo corpo in cui trasferirsi. La sorella di
Brian. Ecco il chi.» Tese il libro in
avanti, per indicare la buca, larga e profonda. «Ricopritela e tornate a
lavoro. Io vado a prendere la piccola.»
Le poiane si alzarono in volo.
Loro gli avrebbero mostrato la via.
Dopo la scomparsa dei signori Wade, poteva essere
successa qualunque cosa. Magari la bambina, adesso, si trovava sotto la
custodia di qualcun altro. Chissà, forse in un istituto, in un orfanotrofio.
Non importava.
L’avrebbe trovata, anche in capo al mondo, e
portata a Sorella Abigail. Per lei, per sé stesso, per redimere l’errore, per
il mondo intero. Per Brian Wade.
Poi avrebbe ripreso la ricerca.
Pii-eeh!
Pii-eeh!
Pii-eeh!
Nota dell’autore. Trarre ispirazione. A volte lo faccio partendo dalle cose più disparate e mi piace. Quando sento che qualcosa – o qualcuno – inizia a sollecitare la molla della fantasia presente dentro la mia testa, parto subito ad imbastirgli una storia di sopra. Mi è successo con le cose più strane ed impensabili.
In questo caso, con qualcosa che poco ha a che vedere con la letteratura (pur avendomi già ispirato per L’ultimo show, seppure in maniera totalmente diversa) e cioè il wrestling.
Gli elementi da cui ho tratto spunto sono: il wrestler Bray Wyatt (Carter Alston) – la cui mossa caratteristica si chiama proprio “Sister Abigail” – e i suoi “discepoli” Luke Harper (Hunter Todd) ed Erick Rowan (Willard Bray), i quali, insieme, formano la “Famiglia Wyatt”, interpretando la gimmick di predicatori folli.
L’ambientazione americana – visto che, soprattutto nelle ultime settimane, qui su Net se n’è molto discusso – l’ho scelta appositamente per la figura del predicatore, molto più diffusa negli States che qui.
Capisco che il suono delle poiane possa dare fastidio, ma l’ho inserito proprio per dare quel senso disturbante.
[1] In realtà, la vergine di Norimberga è uno strumento di tortura risalente al XVIII secolo; ma Brian è un ragazzino, potete perdonargli un’errata convinzione, no?